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Francesco Nigri processo creativo e arte poetica

Francesco Nigri processo creativo e arte poetica

Il processo creativo che sottende l’opera d’arte, come si evince dalla poetica di Francesco Nigri, è un processo in cui ciò che si definisce opera d’arte o opera creativa è il portato dell’agire dell’individuo – artista: è il risultato dell’individuo calato all’interno del proprio spazio e del proprio tempo, ovvero soggetto e, al contempo, oggetto della storia.

È all’interno di questo processo, come traspare dall’opera di Francesco Nigri, che l’individuo definisce la propria mutevole e progressiva identità (la propria storia). Null’altro vige al di là del soggetto e della sua unica ed irripetibile individualità, prigione e, talvolta, condanna dell’essere. Oltre l’individuo solo altri individui, gli uni diversi dagli altri, come diverso è il percorso di vita di ognuno di essi.

Francesco Nigri processo creativo e arte poetica

L’arte è sempre e comunque espressione del suo tempo, del tempo in cui l’individuo-artista vive ed è culturalmente e socialmente inserito e in cui opera secondo le conoscenze acquisite e le tecniche in uso.

L’arte, in primo grado, è storia: non un valore assoluto in sé, ma sempre e comunque relativo allo spazio e al tempo. È propriamente storia, non metastoria.

In secondo grado, in riferimento alla poetica di Francesco Nigri, l’arte come processo creativo non è mezzo, bensì fine. È disinteressata, non è oggetto di commissione o compromesso. L’artista intento a creare non ha altro scopo che quello di esprimere l’universo che si agita dentro di sè. Quando crea non vi è giudizio, fine politico, commerciale o sociale che lo possa condizionare. Se così fosse, significherebbe vivere l’atto creativo come una sorta di pena, di vera e propria reclusione artistica.

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Diversamente dall’atto morale, che postula come termine l’alter, a testimonianza del fatto che senza il quale (o i quali) la moralità non potrebbe esprimersi, il processo creativo trova realizzazione e compimento in se stesso, anche in assenza di fruitori.

La fruizione (e godibilità) dell’opera da parte degli altri, come si evince dall’opera di Francesco Nigri, è la naturale conseguenza dell’atto creativo dell’artista, il che risuona come un’assoluzione dalla sua aspettativa di essere riconosciuto ed apprezzato. Il riconoscimento come conseguenza e non presupposto del lavoro dell’artista.

Anche la fruizione è senz’altro un atto creativo, poiché quando gode dell’opera il pubblico cerca di riprodurre interiormente la sua esperienza, esperienza che è disinteressata come disinteressato è il processo di creazione, in quanto il fruitore, in quell’istante, non ha altro scopo che godere di essa.

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Ogni artista ha una poetica, un’idea del proprio spirito creativo, di ciò che intende realizzare e non soltanto di ciò che ha realizzato, il che può senz’altro aiutare il pubblico e facilitarne la possibilità di fruizione.

Nel momento in cui viene esteriorizzata, l’opera si separa dall’artista e, se resa pubblica, è sottoposta al gusto, al giudizio (talvolta di condanna o di assoluzione per artisti in grado di scuotere in un modo o in un altro le coscienze) del pubblico e della critica.

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Il giudizio su quello che è il risultato del processo creativo, può essere tanto un giudizio di tipo estetico quanto di valutazione critica, dove la valutazione critica di un’opera fa riferimento alle sue caratteristiche meramente concettuali (in poesia l’analisi di testo e metrica). Il giudizio estetico, invece, fa riferimento a sensazioni, emozioni scaturite dalla fruizione dell’opera.

Come l’artista, sia esso un poeta, un pittore, uno scultore, uno scrittore, un compositore, anche il fruitore dell’opera intraprende un processo di edificazione della propria identità nello spazio e nel tempo. Il suo giudizio critico risulta essere quindi soggettivo ancora di più di quello estetico, in quanto il primo si fonda su valutazioni di tipo intellettuale, talvolta condivisibili da più persone, mentre il secondo pertiene allo stato d’animo personale.

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Nel processo creativo, l’artista opera nell’intento di trasferire all’interno della sua creazione quello che può essere un “frame” della propria esistenza. Scrive Francesco Nigri: «Il poeta scrive di sé, della sua anima, del suo cuore. Scrive della strada e per la strada che percorre. Scrive per mettere un paletto alla sua crescita interiore o alla sua difficoltà di crescere. Scrive per scattare un’istantanea di ciò che è e che di lì a poco sarà stato. Scrive per dipingere un quadro, abbozzare un disegno, strappare uno scarabocchio di ciò che visivamente si può rendere musica solo con le parole del cuore.».

Allo stesso modo anche il soggetto fruitore si rapporta alla all’opera sulla scorta della propria storia personale.

Anche la fruizione è esperienza creativa ma non può essere posta in rapporto di analogia né con quella dell’artista, né con quella di tutti gli altri fruitori dell’opera, in quanto assolutamente unica ed irripetibile per ognuno.

Il fattore che sottende tanto il processo creativo quanto di fruizione dell’opera è l’ambiguità: In primo grado è l’artista-creatore ad essere promotore di una maggiore o minore ambiguità in rapporto alla sua opera, riflesso di una maggiore o minore aderenza tra quanto realmente esprime e quanto rimane nelle sue intenzioni.

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In secondo grado è, invece, il fruitore ad essere promotore di un’ambiguità di fondo che è il risultato della ovvia non coincidenza tra ciò che ha espresso l’artista creando e ciò che egli, godendo dell’opera, riproduce in se stesso, sulla scorta del proprio patrimonio culturale, storico e personale.

Sotto il profilo storico l’opera ridefinisce il proprio valore a seconda del periodo: tanto l’artista quanto il pubblico sono soggetti e oggetti della storia. Per cui sia il processo creativo che il giudizio estetico sono espressione del momento storico vissuto in quel preciso istante dall’artista o dal pubblico.

Pertanto il valore di un’opera non è immutabile, non rimane uguale nel tempo. Il suo valore, infatti, non soltanto è mutevole ma può essere anche quantificato secondo la seguente prescrizione: un’opera è tanto più valida quanto maggiore è la sua fruibilità nello spazio (numero di fruitori consapevoli) e nel tempo (anni/secoli).

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“Erano i capei d’oro a l’aura sparsi, che ‘n mille dolci nodi gli avolgea” era per la maggior parte poesia alta al tempo di Petrarca. È per tanti alta poesia ancora oggi, molto più di numerosi componimenti che non hanno resistito al trascorrere del tempo.

Il giudizio estetico è prevalentemente un giudizio storico, riconducibile all’individuo in quanto soggetto-oggetto della storia.
Pertanto ogni giudizio individuale è fine a se stesso e diverso da tutti gli altri e, anche nel medesimo individuo, può cambiare nel corso del tempo.

È impossibile postulare sia un’uniformità e universalità di giudizio (un’opera brutta è brutta per tutti) sia una gerarchia nel grado di giudizio (quest’opera è peggiore o migliore di un’altra). Piuttosto si può soltanto affermare che “quest’opera mi piace, quest’altra non mi piace”.
Esprimere una valutazione di tipo estetico è difficile, in quanto basata prevalentemente su aspetti emotivi e culturali e sono proprio questi ultimi a renderla più responsabile.

La fruizione di un’opera, in riferimento alla prescrizione riportata, non sempre è seguita da un giudizio critico. In molti casi, infatti, si sostanzia fondamentalmente come “piacere”, ovvero uno “stato d’animo” difficile da definire, oltreché mutevole”, mutevole in base al tipo di opera, alle caratteristiche del fruitore e al periodo entro cui avviene la fruizione. Si tratta di uno stato d’animo, assolto, che pertiene in prevalenza alla sfera dell’inconscio ed è influenzato dalle cognizioni culturali e dalle esperienze maturate con il passare del tempo.

Il “piacere” varia generalmente a seconda del genere artistico, a cui corrisponde una maggiore o minore fruibilità dell’opera: poesia, narrativa, musica e teatro sono più facilmente apprezzabili rispetto ad architettura scultura e, per quanto riguarda la poesia, alcuni tipi di poesia lo sono di più rispetto ad altri.

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Anche il cosiddetto “falso” di un processo creativo, non necessariamente è da considerarsi tale in quanto, talvolta, può avere una sua valenza artistica, non inferiore all’originale.

Il tutto dipende dall’autore, dalla sua capacità realizzativa, dall’abilità di conferire all’opera una sua autonomia e indipendenza rispetto all’originale, sottraendola così alle accuse di plagio o, nei casi più evidenti, di vera e propria truffa o imbroglio.

La critica d’arte non ha senso se intesa come valutazione del godimento generato dall’opera. Il critico ha come oggetto di valutazione il proprio godimento personale, che in alcun modo corrisponde con il risultato del processo creativo e con il piacere che il poeta ne trae.
La critica ha senso quando dell’intero processo creativo è indagato il modo e le tecniche di creazione artistica, l’anamnesi dell’autore, ossia le sue esperienze culturali, allo scopo di indirizzare il fruitore prima a comprendere e poi a ricreare dentro di sé l’opera e a godere della sua fruizione.

Fonte Web

 

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